Nel corso del 2022 – già lo scorso maggio – gli Osservatori sulla Giustizia Civile hanno adottato e diffuso un decalogo di regole finalizzato alla diffusione del linguaggio non ostile, sia dentro che fuori al processo, ispirato al “Manifesto della Comunicazione non ostile” già precedentemente diffuso dall’Associazione Parole O_Stili nel 2021.
Un lavoro degli Osservatori locali, coordinati a livello nazionale dalla dottoressa Luciana Breggia, già Presidente della Sezione Specializzata del Tribunale di Firenze, che vogliamo qui riproporvi.
Le linee guida si sono rese necessarie perché, come ha sottolineato la stessa dottoressa Breggia in un suo articolo sul numero del 5 novembre 2022 della rivista Questione Giustizia, «da diverso tempo è nata una nuova sensibilità rispetto alla lingua del diritto nel processo, dove si incontra la lingua della legge, la lingua dei giudici e quella degli avvocati», ma anche «quella di consulenti, periti, servizi sociali e così via».
Il corretto uso del linguaggio, inoltre, è sempre più tale se c’è una corretta formazione a monte, poiché l’assenza di parole e frasi ostili deve andare di pari passo con la sintesi e la chiarezza di atti e provvedimenti. Mentre la questione della chiarezza e sinteticità degli atti e provvedimenti posta alcuni anni fa dagli Osservatori si è tradotta in prescrizioni normative (come con il d.lgs. n. 149 del 2022 e l’art. 121 cpc su “Libertà di forme. Chiarezza e sinteticità degli atti”), invece, l’uso di parole non ostili rappresenta un ulteriore fondamentale obiettivo perché «il giurista – come ben sottolineato sempre da Breggia – ha il potere di fare cose con le parole e dunque porta con sé un potere che genera responsabilità». Dentro e fuori un processo, infatti, le parole sono sempre riferite a concetti importanti e delicati come libertà, salute, qualità della vita, valori, soggettività individuale.
I dieci punti delle Linee-Guida vanno nella direzione di voler promuovere «una figura diversa di giudice, non un burocrate, ma un giudice delle relazioni, a cui poi è sintonica una figura diversa di avvocato». Dunque «non il giudice che punisce, non il giudice che taglia con la spada a metà il torto e la ragione, ma un giudice consapevole che dinanzi a lui ci sono persone, una vicenda umana segnata da errori, incomprensioni, frustrazioni, una vicenda che vuole essere, in primo luogo, narrata e compresa», riprendendo sempre le parole di Breggia.
Non a caso, poi, nelle Linee-Guida viene usato il termine “non ostile”, poiché esso spiega perfettamente come il linguaggio debba essere rispettoso della dignità delle persone. Un aspetto che, secondo la dottoressa Breggia, «riguarda il tema dell’incidenza dei cosiddetti biases impliciti nelle operazioni decisorie dei giudici ed è ampiamente sottovalutato nelle prassi giurisdizionali italiane», con una possibile interferenza dei pregiudizi inconsci sulle decisioni.
Il documento emanato dagli Osservatori sulla Giustizia Civile, inoltre, non riguarda solo gli “addetti ai lavori” ma riguarda ogni persona e dunque l’opinione pubblica. La commisurazione del linguaggio dei provvedimenti giudiziari, infatti, favorisce la conoscenza delle modalità di funzionamento del sistema e contribuisce a rafforzare la fiducia nel mondo della giustizia istituzionale. In più le Linee-guida interessano – e molto – anche l’ambito delle A.D.R. (le Alternative Dispute Resolution) e, come sottolinea Breggia, «l’interesse verso sistemi complementari non giurisdizionali di risoluzione dei conflitti». Sistemi che, infatti, «vogliono dare una nuova centratura alla giustizia” ed “a questa nuova posizione da protagoniste, corrisponde però anche una loro responsabilità» rispetto all’uso di un linguaggio corretto, quindi sintetico, chiaro e rispettoso.
In un’ultima analisi, quindi, il Decalogo di regole diffuso dagli Osservatori sulla Giustizia Civile sul linguaggio non ostile non è e non vuole essere un traguardo, bensì una base di partenza per spalancare la porta alla consapevolezza nell’avere grande cura delle parole e delle persone.
Qui di seguito il testo integrale delle Linee-Guida
Virtuale è reale. Dico e scrivo in rete come se fossi in presenza. Comunico in modo commisurato al contesto e ai destinatari, nel rispetto delle regole deontologiche.
Si è ciò che si comunica. Quello che dico e scrivo è pertinente, chiaro, sintetico e non retorico. Nel comunicare considero i destinatari, il contesto e il tipo di conflitto, cercando di essere il più possibile comprensibile.
Le parole danno forma al pensiero. Ogni parola influisce sull’andamento e sul risultato del dialogo: scelgo con cura le parole per esprimere in modo trasparente ed efficace il mio pensiero evitando tecnicismi e inutili sfoggi di erudizione.
Prima di parlare bisogna ascoltare. Ascolto sempre con attenzione il mio interlocutore, e se dubito di aver compreso chiedo chiarimenti. Parlo o scrivo soltanto dopo avere ascoltato gli altri, senza interromperli.
Le parole sono un ponte. Come giudice parlo o scrivo in modo da mettere le parti e i difensori in grado di comprendere il mio pensiero sulla controversia e di valutare la possibilità e l’opportunità di una conciliazione. In particolare, evidenzio sempre le conseguenze di ogni possibile decisione. Come avvocato mi esprimo in modo che il mio assistito possa comprendere la diversità dei punti di vista che hanno causato il conflitto, al fine di favorire soluzioni consensuali.
Le parole hanno conseguenze. Sono consapevole che ogni parola, detta o scritta, avrà delle conseguenze, potrebbe creare sofferenza, generare false aspettative, esasperare il conflitto.
Condividere è una responsabilità. Condivido il mio sapere e le mie esperienze. Ritengo il confronto un momento di crescita e lo cerco anche con figure professionali diverse dalla mia. Come giudice contribuisco alla accessibilità della giurisprudenza del mio ufficio e condivido provvedimenti e documenti con i colleghi. Come avvocato offro il mio aiuto ai colleghi più giovani e dedico tempo alla loro formazione.
Le idee si possono discutere. Le persone si devono rispettare. In quello che dico e scrivo non utilizzo toni ironici, svalutanti o moralistici. Evito di esprimere un giudizio quando affronto un contesto che non conosco. Come giudice sorveglio ogni possibile pregiudizio inconscio. Come avvocato contrasto le tesi altrui senza deridere o aggredire .
Gli insulti non sono argomenti. Non utilizzo parole offensive, toni sarcastici, argomentazioni che screditano le parti o i loro difensori, la controparte o il giudice. Come giudice, richiamo le parti e i difensori al rispetto della controparte.
Anche il silenzio comunica. Non parlo solo per occupare spazio né per esibizione personale. Non mi sottraggo al dovere di rispondere. Il silenzio può essere offensivo quando è mio dovere rispondere tempestivamente.