La riservatezza esterna in mediazione

La riservatezza esterna in mediazione
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La riservatezza esterna in mediazione

Il dovere di riservatezza nella mediazione è previsto dall’art. 10 D. Lgs. 28/2010, che ha mantenuto tale principio anche con le modifiche della Riforma Cartabia e in particolare viene specificato anche il principio della riservatezza esterna nella procedura di mediazione, oltre che quella interna, che grava sui soggetti che prendono parte alla procedura durante la stessa secondo il dettato dell’art. 9.

Con l’obbligo di riservatezza esterna si intende dunque – come riporta Manuela Zanussi in un articolo pubblicato sul portale specializzato CFNews – la segretezza che permane e si proietta anche dopo la conclusione del procedimento ed anche in sede giudiziale. Ecco infatti quanto sancito dall’art. 10 sopra citato: «Le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento di mediazione non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale, iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. Sul contenuto delle stesse dichiarazioni e informazioni non è ammessa prova testimoniale e non può essere deferito giuramento decisorio».

Occorre ribadire che la segretezza si estende a tutti coloro che in qualche modo hanno a che fare con la procedura stessa e copre le «dichiarazioni rese e le informazioni acquisite»nel corso del procedimento. Ma qual è il confine tra ciò che risulta coperto da riservatezza e il divieto di producibilità dei documenti e di deducibilità delle circostanze emerse nel corso del procedimento di mediazione nel successivo giudizio?

Innanzitutto è bene precisare che i documenti costituenti la domanda di mediazione e l’adesione alla stessa sono producibili in causa ed anzi vi è obbligo di farlo al fine di poter verificare il rispetto del principio di simmetria della domanda di mediazione rispetto alla causa petendi e al petitum del giudizio, e quindi se la condizione di procedibilità sia stata rispettata con riferimento a quanto dedotto rispettivamente in mediazione e in giudizio. Allo stesso modo sono producibili i verbali di mediazione e specificamente il primo e quello conclusivo.

Anche la giurisprudenza si è pronunciata in merito, in particolare con una recente pronuncia del Tribunale di Milano, (cfr. sentenza n. 6826 del 22.08.2023) con la quale vengono portate all’attenzione alcune puntualizzazioni, inserendo anche la questione della segnalazione disciplinare dell’avvocato.

Si legge infatti nella pronuncia che: «l’attrice negli atti ha anche dichiarato di riferire le difese asseritamente avanzate dal convenuto durante il procedimento di mediazione obbligatorio preventivo, con patente violazione dell’ art. 10 d.lgs 28.03.2010 n. 28, a tacere del profilo di possibile illecito disciplinare a carico del Difensore attoreo XXXX, per violazione dell’art. 13 Codice deontologico forense, onde il Giudice è tenuto a trasmettere copia della presente sentenza e degli atti al competente Consiglio di disciplina presso il locale COA per il più di eventuale competenza. […] Letto l’art. 96 uc cpc, condanna XXXX a pagare a favore di XXXX equitativamente determinata per abuso del processo […]; dispone la trasmissione della presente sentenza e degli atti attorei (atto di citazione, le tre memorie attoree depositate ex art. 183 co. 6 cpc e la comparsa conclusionale) al Consiglio di Disciplina presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati per quanto di eventuale competenza in relazione alla possibile violazione dell’art. 13 Codice deontologico forense da parte dell’avv. XXX, nella parte in cui ha riferito quanto asseritamente dichiarato dalla controparte durante il pertinente preventivo procedimento di mediazione obbligatoria».

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