Intervista all’avv. Marcella Fiorini

Intervista all’avv. Marcella Fiorini
L'intervista a ....
Intervista all’avv. Marcella Fiorini

Avvocato e mediatore a Roma, Marcella Fiorini sarà tra i relatori della prossima – la 3° – Officina della Conciliazione, che avrà come tema “Il Patrocinio a spese dello Stato e le spese nelle procedure di Mediazione”. Proprio Fiorini interverrà sugli aspetti della mediazione civile e commerciale, con un focus sul compenso dell’avvocato, liquidazione, procedure e controlli. L’abbiamo intervistata sull’argomento.

 

Avv. Fiorini, In riferimento alla sua relazione durante la prossima Officina, quali sono gli aspetti più importanti che è bene far emergere e portare all’attenzione degli addetti ai lavori?

«L’estensione del Patrocinio a spese dello Stato a favore della parte non abbiente, nelle procedure di mediazione e di negoziazione assistita costituisce un’importante novità della riforma Cartabia. E’ stata invero una scelta legislativa obbligata, se si considera che, in concomitanza con l’emanazione della legge n. 206/2021 – che prevedeva tale estensione tra i principi e criteri direttivi della riforma – la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 10/2022, aveva dichiarato incostituzionali alcune disposizioni del T.U. Spese di giustizia perché escludevano testualmente il patrocinio a spese dello Stato per l’assistenza prestata dagli avvocati, quando a tale attività non avesse fatto seguito il giudizio (quindi in tutti quei casi in cui la procedura conciliativa aveva avuto esito positivo eventualmente proprio grazie a quell’assistenza!). Ha spiegato la Corte che, nelle ipotesi di procedura conciliativa obbligatoria (dove la parte deve necessariamente avere l’assistenza di un avvocato), vi è un rapporto di strumentalità necessaria con il processo, trattandosi di una “forma di giurisdizione condizionata avente finalità deflattive”. Negare di fatto l’accesso a tali procedure alla persona che, per ragioni di reddito, non è in grado di sostenere le spese dell’avvocato, appare dunque del tutto distonico e privo di ragionevole giustificazione, traducendosi anche in “una sorta di disincentivo verso quella cultura della mediazione che il legislatore stesso si è fatto carico di promuovere”. Ciò che viene pregiudicato, ha affermato la Corte, è l’effettività dell’accesso alla giustizia e il conseguente sacrificio del nucleo intangibile del diritto alla tutela giurisdizionale, venendo in gioco il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, secondo comma, Cost.) e l’intero impianto dell’inviolabile diritto al processo, di cui ai primi due commi dell’art. 24. L’importante indicazione che proviene dalla Corte Costituzionale è che lo Stato ha l’obbligo di farsi carico di queste “spese costituzionalmente necessarie” perché sono volte “all’erogazione di prestazioni sociali incomprimibili”, di fronte alle quali anche l’argomento dell’equilibrio di bilancio è recessivo. Ebbene, la riforma dà attuazione ai richiamati principi costituzionali ma anche a quelli enunciati nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che appunto riconosce il diritto al patrocinio a spese dello Stato quale mezzo indispensabile per assicurare un “accesso effettivo alla giustizia”. La dott.ssa Luciana Breggia, nel commentare la sentenza n. 10/2022 della Corte Costituzionale, ha segnalato come, nell’ambito delle fonti europee, ove prevale una prospettiva di “giustizia plurale”, l’accesso alla giustizia non si riduce al “diritto a un Tribunale”, ma include l’accesso a procedimenti non giurisdizionali di risoluzione delle controversie, che si pongono in rapporto di complementarità rispetto alla “giustizia giurisdizionale”. Altro merito della riforma è quello di aver allineato il sistema interno delle liti “domestiche” a quanto imposto dalla direttiva 2002/8/CE del 27 gennaio 2003 (c.d. Legal Aid) per le liti transfrontaliere, per le quali gli Stati membri si sono impegnati a garantire l’accesso alla giustizia attraverso un “adeguato” riconoscimento del patrocinio a spese dello Stato anche “nella fase precontenziosa al fine di giungere a una soluzione prima di intentare un’azione legale”».

 

In che modo la riforma Cartabia ha modificato la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione civile e commerciale?

«Il legislatore non ha compiuto un rinvio puro e semplice alle norme in tema di patrocinio a spese dello Stato per il processo civile, di cui al T.U. spese di giustizia, ma ha preferito creare un istituto ad hoc, disciplinato da specifiche norme inserite ex novo nell’articolato del D.Lgs. 28/2010 (Capo IIbis artt. 15bis-15undecies). Il beneficio è stato limitato alle sole ipotesi in cui l’esperimento del procedimento di mediazione e/o di negoziazione assistita costituisca condizione di procedibilità della domanda giudiziale e solo nei casi in cui sia stato “raggiunto l’accordo”. Altra assoluta novità è costituita dalla procedura di liquidazione degli onorari dell’avvocato, che è stata del tutto sganciata da una decisione di tipo giurisdizionale (sempre necessaria nel caso dei compensi dell’avvocato per l’attività giudiziale ex T.U. spese di giustizia). E’ stato cioè previsto un procedimento di tipo prettamente amministrativo mentre il controllo giurisdizionale è rimasto riservato alle ipotesi di rigetto dell’istanza di ammissione anticipata oppure in caso di revoca del beneficio, decisioni queste che competono al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Viene inoltre attribuito un rilevante ruolo allo stesso avvocato – il quale provvede ad autoliquidare i propri compensi basandosi sui parametri fissati dall’art. 4 del D.M. 1° agosto 2023 – ed anche al Consiglio dell’Ordine, che conferma l’ammissione al beneficio tramite un “visto di congruità” e che è l’unico soggetto deputato all’eventuale revoca del beneficio. Il D.M. 1° agosto 2023 ha infine completamente informatizzato la procedura di pagamento degli onorari dell’avvocato, disponendo in via generale che tutte le istanze siano proposte a pena di inammissibilità tramite la piattaforma accessibile dal sito www.giustizia.it, di cui ha parlato nell’intervista del 30 ottobre scorso la dott.ssa Sabrina Mostarda, dirigente dell’ufficio II del Ministero della Giustizia che si occupa della sua gestione».

 

Secondo lei la disciplina del patrocinio a spese dello Stato nelle procedure di mediazione civile e commerciale meriterebbe un miglioramento?

«Sì. La limitazione del beneficio alle ipotesi di mediazione obbligatoria conclusasi con un accordo si basa su una convinzione non espressa, quasi un bias cognitivo, a danno dell’avvocato che abbia assistito la parte beneficiata nei casi di fallimento della procedura conciliativa. Mi spiego. Si è dato per scontato che la controversia irrisolta transiti “necessariamente” dinanzi a un Giudice, il quale al termine del giudizio potrà liquidare gli onorari dell’avvocato per l’attività svolta nella fase stragiudiziale, ben potendo considerarla propedeutica, connessa e funzionale al giudizio (ne terrà cioè conto nella liquidazione degli onorari relativi all’attività giudiziale, senza con ciò discostarsi dal dettato del T.U. Spese di giustizia). E fin qui tutto bene. Ma cosa accade se il cliente rinunci (come è suo diritto) ad adire il Giudice, magari proprio grazie al confronto tra le proprie e le altrui ragioni avvenuto negli incontri di mediazione? Oppure, cosa succede se il cliente decida di cambiare avvocato per instaurare il giudizio? In questi casi l’avvocato non potrà chiedere la liquidazione del compenso al Giudice, trattandosi di fattispecie estranea al perimetro della riforma ed anche al T.U. spese di giustizia. Non potrà neppure compulsare il cliente, stante il disposto dell’art. 15 septies, comma 5, del D. Lgs. 28/2010, che gli fa espresso divieto di chiedere e percepire compensi o rimborsi dall’assistito beneficiato al di fuori delle ipotesi ivi previste. In pratica, l’attività di assistenza prestata non riceverà il giusto compenso, rivelando una sacca del sistema che rimanda al vecchio “patrocinio gratuito dei poveri”, un tempo definito come “ufficio onorifico e obbligatorio della classe degli avvocati e procuratori”, la cui concezione è stata ritenuta più volte costituzionalmente superata dalla stessa Corte Costituzionale. La soluzione potrebbe essere quella di ammettere, anche in caso di mancato accordo, la liquidazione a spese dello Stato con riduzione dei compensi a quelli previsti per le sole fasi di attivazione e negoziazione. Se poi la controversia dovesse proseguire dinanzi al Giudice, quest’ultimo provvederà a liquidare il compenso limitatamente all’attività giudiziale».

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