Formazione e mediazione, anche nelle scuole. Intervista al dott. Iannuzzi

Formazione e mediazione, anche nelle scuole. Intervista al dott. Iannuzzi
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Formazione e mediazione, anche nelle scuole. Intervista al dott. Iannuzzi

La mediazione non è un settore che riguarda solo gli addetti ai lavori ma si sta sempre di più aprendo alle nuove generazioni, in alcuni casi partendo da lontano, fin dalle scuole. E’ infatti fondamentale, per lo stesso mondo della conciliazione, che fin dagli anni scolastici – in alcuni casi addirittura dalle scuole di primo grado, ma ovviamente soprattutto nelle secondarie – si inizi a parlarne. In merito abbiamo intervistato il dott. Francesco R. Iannuzzi, mediatore, formatore e Vicepresidente della Commissione Conciliazione e Mediazione dell’ODCEC di Roma.

 

Dott. Iannuzzi, innanzitutto le chiediamo qual è il modus operandi per intraprendere un percorso di formazione nelle scuole e perché, appunto, rivolgersi proprio ai più giovani?

«La formazione in tema di mediazione è rivolta principalmente ad adulti. Per diventare mediatore civile il requisito minimo previsto è la Laurea Triennale, insieme all’iscrizione ad un Albo o Collegio, oppure Laurea Magistrale. Chi è in possesso di questi requisiti iniziali può diventare mediatore seguendo uno specifico percorso formativo erogato attraverso gli Enti di Formazione accreditati negli elenchi ministeriali. In genere, dunque, gli interlocutori a cui ci si rivolge quando parliamo di mediazione sono di base addetti ai lavori o comunque persone che hanno superato una certa età, dunque non più ragazzi. E’ importante sottolineare che all’interno dei percorsi di formazione si vanno ad esplorare tutte quelle tecniche e quegli strumenti necessari per la gestione e trasformazione del conflitto, che in genere viene visto come una situazione patologica, una situazione di stallo, spesso come qualcosa da evitare, dunque di negativo, quando in realtà ben sappiamo che l’attività che fa il mediatore è quella di far scoprire alle parti che ci tante opportunità all’interno di quel conflitto. Dunque, tutte queste conoscenze ed esperienze vanno benissimo e sono adatte anche ad un pubblico più giovane, perfino di età scolare. Ovviamente questo non significa che si possa diventare subito mediatori ma la formazione a scuola è davvero fondamentale per iniziare a far capire ai ragazzi che ci sono modalità diverse per vivere e muoversi all’interno del conflitto e quindi che ci sono modi – all’interno dei conflitti stessi – per farli diventare dei momenti di confronto e crescita. L’obiettivo, dunque, è quello di far comprendere che l’altra parte, che di solito viene vista all’interno di un conflitto come un nemico, in realtà è colui con il quale si può iniziare un percorso di crescita e di confronto. Portare la formazione all’interno delle scuole può condurre proprio i più giovani a vivere le dispute in maniera diversa rispetto a quanto fatto fino ad oggi».

 

Quali scuole e classi vengono coinvolte?

«Il nostro tentativo è quello di portare all’attenzione degli studenti universitari e di Licei e Istituti superiori questi percorsi di formazione ma stiamo già pensando anche a come coinvolgere i ragazzi di scuole medie e scuole elementari. Naturalmente, il modo di proporre il tema della conciliazione cambia a seconda delle classi e delle età degli studenti. Gli approcci sono fortemente esperienziali e ludici. I ragazzi sono chiamati a vivere questa esperienza da protagonisti, attraverso giochi, roleplay e simulazioni che li vedono coinvolti in prima persona. Tutto questo permette loro di prendere profondo contatto con le proprie emozioni, che si generano in situazioni conflittuali, e di conoscere e sperimentare l’ascolto attivo, la comunicazione assertiva e non violenta, la capacità di riformulare i propri pensieri e le proprie azioni in modo meno aggressivo. Fino ad ora siamo arrivati fino alle scuole superiori, in particolare con studenti del 2°, 3° e 4° anno, poiché ci siamo resi conto che i ragazzi del primo e del quinto, per motivi diversi – o perché sono appena arrivati in una nuova scuola o perché sono proiettati verso la maturità – avrebbero meno tempo per dedicarsi a questi percorsi di formazione. Gli altri, invece, sono nel pieno della maturità scolastica e la loro didattica non viene disturbata. Abbiamo provato a fare qualche “esperimento” nelle scuole medie e prevediamo già nel 2025 di farlo con più continuità».

 

Lei ha già fatto in passato alcuni progetti in tal senso, ce li vuole raccontare?

«Insieme alla Commissione Conciliazione e Mediazione dell’ODCEC di Roma abbiamo intrapreso alcuni percorsi di formazione per le scuole. Tutto è nato dall’esperienza con un’altra associazione, l’UNAM (Unione Nazionale Avvocati Mediatori) e dalla decisione maturata insieme alla collega, dottoressa Stefania Pieroni, di predisporre un nostro specifico format destinato alle scuole, che abbiamo proposto alla sezione di Roma dell’Unam, coordinata dall’avv. Andrea Zanello. Siamo andati avanti per diversi anni con questa collaborazione che ancora continua e abbiamo avuto sempre grande apprezzamento sia da parte dei dirigenti e degli insegnanti che degli studenti. A partire da quest’anno, poi, tramite l’ODCEC di Roma, che già in passato ha sviluppato progetti nelle scuole, abbiamo fatto intervenire anche due pedagogisti di comprovata esperienza per sviluppare ulteriormente questi programmi con le scuole superiori e soprattutto per strutturare in modo più approfondito e concreto il modus operandi da portare all’interno delle scuole medie ed elementari».

 

Sappiamo che il mondo della mediazione è in costante mutamento. Anche alla luce dell’esperienza da lei fin qui maturata e che ci ha appena spiegato, secondo lei come i giovani possono arricchire e portare novità al settore e cosa, viceversa, il mondo della mediazione può portare agli studenti in questo periodo storico?

«Noi abbiamo registrato una risposta di grande entusiasmo e sorpresa da parte dei più giovani rispetto, come dicevo prima, ad un modo diverso di affrontare i conflitti. Quando andiamo nelle scuole diciamo sempre che non siamo lì per dire ai ragazzi di non litigare perché nel mondo del lavoro, e in generale nella società, il conflitto è comunque presente e non si può debellare. Allora cerchiamo di far comprendere ai ragazzi che bisogna imparare a litigare in maniera costruttiva, civile, rispettosa dell’altro, in modo da trasformare il conflitto in un’opportunità e non in una lotta. Questo tipo di approccio rappresenta per i ragazzi una grande sorpresa e dunque una grande ricchezza che il nostro mondo può portare al loro mondo. In particolare, poi, ci appelliamo al concetto della creatività per gestire e superare le liti e sicuramente sotto questo aspetto sono i giovani, le nuove generazioni, che possono insegnare tanto a noi e che possono arricchire il mondo della mediazione. Attivare processi creativi è infatti essenziale per cercare forme di risoluzione dei conflitti, ragionando fuori dagli schermi. Un altro aspetto fondamentale, è quello dell’ascolto. Innanzitutto perché dimostriamo agli studenti che siamo lì per loro, per ascoltarli e per comprenderli, e infatti vediamo quanto siano contenti di essere ascoltati e di avere qualcuno che li supporta e poi perché mostriamo loro che proprio l’ascolto reciproco è essenziale nella trasformazione dei conflitti, per venire incontro alle esigenze dell’altro e non vederlo come un nemico. In questo modo loro possono comprendere che il conflitto non ha una propria forza distruttiva ma è l’uomo, con le sue scelte e con il suo approccio, che può dargli la giusta direzione».

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